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La ricerca sull’elettronica organica avanza. Il progetto ERC di Giorgio Ernesto Bonacchini al DEI: MiMETIC

Quando pensiamo all’elettronica, immaginiamo dispositivi tecnologici il cui funzionamento dipende da materiali inorganici come il silicio, i metalli o, per chi ne sa qualcosa in più, anche il nitruro di gallio, tutti materiali inorganici. Esiste però un’elettronica diversa, un’elettronica che implementa polimeri o piccole molecole principalmente a base di carbonio e idrogeno: l’elettronica organica. Grazie a questa diversa composizione, l’elettronica basata sui materiali organici presenta caratteristiche uniche di flessibilità meccanica e biocompatibilità, nonché di sostenibilità economica ed ambientale.Questo tipo di tecnologia viene principalmente utilizzata per dispositivi elettronici a bassa frequenza, come i biosensori, e nei dispositivi optoelettronici, come gli OLED (schermi di televisori e cellulari), e ha però sempre avuto un limite: la sua lentezza. Questo la rende inadatta per le telecomunicazioni e altre applicazioni ad alta frequenza. Si parla, infatti, di un gap significativo nello spettro elettromagnetico. Questo gap rappresenta una missed opportunity, un’occasione mancata per l’elettronica organica che, ad oggi, non viene utilizzata in settori dove le microonde e le alte frequenze sono fondamentali, come radar, telecomunicazioni, imaging biomedicale, per la sicurezza (per esempio, scanner aeroportuali) e per la caratterizzazione dei materiali a livello industriale. Proprio con l’intenzione di iniziare a colmare questo gap scientifico e tecnologico, nasce MiMETIC (Microwave Metadevices based on Electrically Tunable organic Ion-electron Conductors), il progetto di ricerca premiato con un ERC da oltre due milioni di euro al suo principal investigator, il prof. Giorgio Ernesto Bonacchini. Con MiMETIC, il prof. Bonacchini propone una soluzione per superare questo limite: accoppiare i materiali elettronici organici ad antenne e/o matrici di antenne (note anche come metasuperfici) operanti nelle microonde o nei terahertz, al fine di poterne controllare le proprietà elettromagnetiche in tempo reale. Questo approccio, finora inesplorato, permette per esempio di realizzare “specchi” o “lenti” per le microonde le cui caratteristiche di riflessione e/o rifrazione possono essere sintonizzate e corrette a seconda delle esigenze, permettendo quindi la manipolazione e il controllo delle onde elettromagnetiche con estrema precisione. Rispetto ad altre tecnologie con finalità simili, i materiali organici offrono dei vantaggi tecnologici che trascendono le semplici performance elettriche. Visto che i materiali conduttori e semiconduttori organici sono costituiti da molecole e polimeri a base di carbonio simili alle plastiche convenzionali, questi possono quindi essere facilmente disciolti allo stato liquido e processati come veri e propri inchiostri funzionali, sfruttando una svariata gamma di tecniche di stampa industriale, come la stampa a getto di inchiostro, la serigrafia e flexografia. I vantaggi di questo approccio sono molteplici poiché offrono flessibilità, bassi costi di produzione e processi a temperature inferiori ai 200 gradi Celsius, con i relativi benefici di sostenibilità economica e ambientale che ne derivano. Inoltre, come per la stampa tradizionale, questi processi permettono la realizzazione di elettronica su superfici di grande estensione e a grandi velocità di produzione, potenzialmente decine di metri al minuto, su supporti planari di vario tipo, inclusi i laminati plastici sottili e trasparenti tipicamente utilizzati per il packaging, o addirittura su carta. Questi “formati” di dispositivo, che ad oggi non possono essere implementati con altre tecnologie, aprono la strada a una serie di applicazioni innovative e poco esplorate. Ad esempio, in futuro potremmo realizzare metasuperfici meccanicamente flessibili di diversi metri quadrati, stampate su vestiario o su veicoli come aerei e automobili, per aumentarne la capacità di comunicazione, o persino per creare “mantelli dell’invisibilità” nelle microonde. Questi oggetti potrebbero abilitare una comunicazione più efficiente tra i nostri smartphone e i dispositivi indossabili, come ad esempio smartwatch, smartglasses o altri sensori ambientali, incanalando o focalizzando le microonde lungo direzioni preferenziali e riducendo, quindi, sia il dispendio energetico sia l’esposizione del corpo a onde elettromagnetiche. Questo tipo di applicazioni potrebbe essere di grande interesse anche per applicazioni in ambito di logistica, monitoraggio ambientale e agritech. Un’altra applicazione promettente che potremmo vedere realizzata è quella delle interfacce bioelettroniche. I materiali elettronici organici, per via della loro composizione chimica a base carbonio relativamente simile a quella dei tessuti viventi biologici, sono infatti delle ottime interfacce bioelettroniche in grado di trasdurre segnali biologici in segnali elettronici. Sensori basati su metasuperfici organiche a contatto con la pelle o all’interno del corpo potrebbero quindi essere sfruttati per rilevare biosegnali e diffonderli a distanza, senza richiedere alimentazione elettrica e complessi circuiti ad alta frequenza, riducendo drasticamente complessità, l’invasività e costi rispetto alle tecnologie convenzionali. Al di là delle possibili applicazioni che propone questo progetto, l’obiettivo più ad ampio respiro di MiMETIC è anche quello di avvicinare due comunità scientifiche: quella dei metadispositivi ottici/microonde e quella dell’elettronica organica, per esplorare le loro intersezioni e promuovere nuove scoperte e applicazioni. Note di approfondimento (in inglese): Il progetto è su Cordis il sito del servizio Comunitario di Informazione in materia di Ricerca e Sviluppo. Articolo su Springer Nature /Research Communities. Articolo su Techxplore.

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GREENEDGE, Progetto Marie Curie Action premiato come “storia di successo” dalla UE

L’energia richiesta dall’Intelligenza Artificiale sta aumentando in modo esponenziale, generando una grande preoccupazione per la sua sostenibilità ambientale. Ciò rende impellente la creazione di algoritmi più efficienti, hardware dal consumo più basso, uso prioritario di energie rinnovabili: il progetto GREENEDGE apporta un valido contributo alla risoluzione di queste tematiche. GREENEDGE è un progetto MSCA (Marie Skłodowska-Curie Action) International Training Network coordinato dall’Università di Padova e finanziato dalla UE nell’ambito del programma di ricerca e innovazione Horizon 2020. Recentemente, GREENEDGE è stato premiato come “storia di successo” dalla Commissione Europea: un importante traguardo, riconosciuto sia per l’azione di efficientamento energetico di tecnologie ICT, sia per la formazione di giovani scienziati esperti in tecnologie informatiche sostenibili. In pratica, un perfetto esempio dello slogan del programma MSCA: “Developing talents, advancing research”. Il coordinatore di questo progetto, Michele Rossi, professore ordinario presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione (DEI) dell’Università di Padova, afferma: «Il progetto è nato dalla collaborazione decennale con rinomati centri di ricerca, come il CTTC di Barcellona, l’Università Cattolica di Lovanio (KU Leuven), l’Università di OULU e l’Imperial College di Londra. Oltre all’avanzamento tecnologico e alla formazione di giovani professionisti, il progetto si propone di lasciare un’impronta positiva sull’ambiente». «Nelle reti future, dove la comunicazione convivrà sempre più con il calcolo e l’elaborazione delle informazioni – continua Rossi − è prioritario studiare soluzioni a basso consumo energetico per abbattere la crescente impronta di carbonio». Ecco spiegato il termine “Green” che compare nel nome del progetto. Il termine “Edge,” riferito alla rete, rappresenta l’infrastruttura di comunicazione e di calcolo che connette dispositivi mobili (quali cellulari) o in posizioni remote e poco accessibili (quali sensori in una smart city) con la rete Internet. Il compito dell’edge è processare le informazioni direttamente alla fonte, il più vicino possibile al punto in cui vengono prodotte. «Ci proponiamo di minimizzare l’energia che consuma l’edge – afferma Rossi – cercando di ridurre i consumi energetici correlati alla trasmissione e all’elaborazione delle informazioni dei dispositivi che lo popolano. Questi obiettivi sono raggiungibili tramite nuovi algoritmi, l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili, fino all’utilizzo di tecnologie e materiali innovativi. Per esempio, in un prossimo futuro, si prospetta la creazione di reti di sensori stampati con materiale organico e dunque biodegradabili, che possano essere installati su diverse superfici, quali vetri, muri ecc., ottenendo reti di sensori a impatto zero». Per raggiungere gli obiettivi del progetto GREENEDGE, sono stati individuati quindici giovani studenti e studentesse, a cui sono stati assegnati dei progetti individuali, con il focus condiviso di limitare il consumo energetico di algoritmi e di apparati per la comunicazione e il calcolo all’edge della rete. Questi giovani ricercatori hanno intrapreso un percorso di studi di prim’ordine, sfociato nella scrittura di una tesi di dottorato. Una intensa fase di training ha contemplato sei scuole organizzate in Belgio (Lovanio), Italia (Bressanone), Spagna (Barcellona), Francia (Parigi), Finlandia (Oulu) e Regno Unito (Londra), affrontando workshop e sessioni di formazione di stampo tecnico-scientifico e discipline trasversali, tra cui marketing e gestione di progetti, pensiero creativo, ricerca e innovazione responsabili, accesso aperto, integrità scientifica, innovazione di genere. In particolare, nella scuola estiva di Bressanone (organizzata fin dal 1952 dall’Università di Padova, di cui il prof. Rossi è stato direttore per otto anni), la sessione del 2022 è stata sviluppata proprio intorno al progetto GREENEDGE, tramite corsi monografici dedicati. «Al di là dell’aspetto tecnico e scientifico, abbiamo posto particolare attenzione all’educazione dei nostri studenti riguardo a molte tematiche trasversali e a alla comunicazione delle nostre iniziative e dei risultati ottenuti − afferma Rossi − per questo abbiamo accompagnato i nostri studenti e le studentesse in un percorso di crescita personale, offrendo loro una formazione dedicata con esperti di spicco in ambito internazionale». Per esempio, i ricercatori assunti dal Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Padova hanno completato la loro attività di studio tramite visite presso il Toshiba Research Europe Limited di Bristol (UK), l’Imperial College di Londra (UK) e l’Università di Saint Louis (USA). https://www.youtube.com/watch?v=RWet95hI4Y0   Nell’evento finale del progetto, tenutosi lo scorso settembre a Bol (Croazia), i ricercatori di GREENEDGE hanno presentato il loro lavoro in due sessioni poster, accogliendo la partecipazione di tutti gli iscritti all’evento IEEE SOftCOM che li ospitava. Successivamente, nel “Symposium on Green Networking and Computing”, sono stati presentati i lavori svolti dai vincitori del concorso che i ricercatori di GREENEDGE hanno preparato per studenti di laurea e dottorato di altre istituzioni e programmi. Nel video finale dell’evento, traspare la passione e l’entusiasmo degli studenti e delle studentesse partecipanti al progetto e la loro gratitudine per l’esperienza vissuta, arricchente sia sul piano scientifico che su quello personale. «Un progetto impegnativo da gestire – continua Rossi – perché ha coinvolto studenti e studentesse diversi per cultura e formazione, partner accademici e dell’industria di tutta Europa, ma anche un’esperienza meravigliosa, che ci ha dato grande soddisfazione. Non ultimo – conclude Rossi – il riconoscimento da parte della Commissione Europea come “storia di successo”».       Approfondimenti: Sito del progetto: https://greenedge-itn.eu/ GreenEdge su LinkedIn.   GreenEdge su YouTube. “Soluzioni ITC sostenibili per il nostro mondo connesso”, articolo sul sito ufficiale dell’Unione Europea, sezione “Tutte le storie di successo”. Il progetto su CORDIS, il sito del servizio Comunitario di Informazione in materia di Ricerca e Sviluppo. GreenEdge è un MSCA (Marie Skłodowska-Curie Action) International Training Network Alcuni articoli sulla stampa generalista online: OpenAI CEO Altman says at Davos future AI depends on energy breakthrough. 16.01.2024 Nei prossimi anni l’AI potrebbe consumare tanta energia quanto un’intera Nazione, Geopop, 11.03.2024 Il consumo energetico dell’AI è fuori controllo. Reece Rogers, Wired, 22.07.2024

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Brainteaser. Un progetto europeo per portare l’AI in aiuto ai pazienti affetti da malattie neurodegenerative

Come può l’intelligenza artificiale aiutare a migliorare la cura delle malattie neurodegenerative? In medicina i modelli di machine learning funzionano con successo se il contesto è ben definito. Nell’imaging medicale (radiografie o simili), grazie al lavoro complesso svolto fino ad oggi, l’AI è in grado di analizzare l’immagine e comunicare, per esempio, la presenza o meno di un tumore, offrendo al medico informazioni precise per effettuare una diagnosi. La Radiologia, rispetto ad altri campi della Medicina, è infatti in una posizione favorevole per adottare gli algoritmi e le infrastrutture di AI. Invece, se consideriamo di utilizzare l’AI in ambito clinico per predire la progressione della malattia e migliorarne la cura, il discorso si fa complesso. Ma c’è chi ci sta lavorando, anche qui al DEI, nell’ambito del progetto Brainteaser.  «Eravamo agli inizi del 2020, in pieno Covid quando tutti erano chiusi in casa. – ci racconta la Prof.ssa Barbara Di Camillo, ordinario di informatica presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università degli Studi di Padova e manager scientifico di Brainteaser – Ricordo che registravo le lezioni per gli studenti del mio corso in salotto, intorno alle cinque del mattino, quando tutta la famiglia dormiva. In quello stesso periodo uscì una call in cui si richiedevano progetti europei che affrontassero temi clinici utilizzando l’AI, per esplorare l’uso dell’intelligenza artificiale in ambito clinico».  Dopo un anno, nel febbraio del 2021, prende avvio il progetto Brainteaser, il cui obiettivo è di integrare dati sociali, ambientali e sulla salute umana per sviluppare modelli di stratificazione dei pazienti e di progressione della malattia, per soddisfare le esigenze della medicina personalizzata.  In pratica, si tratta di portare i vantaggi dell’intelligenza artificiale direttamente ai pazienti, per gestire al meglio il decorso della loro patologia.  Le malattie prese in esame nel progetto sono la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e la sclerosi multipla (SM), due patologie neurodegenerative complesse con quadro clinico, evoluzione, prognosi e terapie molto differenti. Tuttavia, queste malattie si accomunano perché colpiscono il sistema nervoso, sono croniche, progressive e modificano significativamente la qualità della vita dei pazienti e dei loro famigliari. Al progetto Brainteaser viene destinato un budget che sfiora i 6 milioni di euro, con finanziamenti dal programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell’Unione Europea per una durata di quattro anni, con la partecipazione di 11 partner europei coordinati dall’Universidad Politécnica de Madrid (UPM) e il coinvolgimento di 300 pazienti individuati in quattro centri clinici situati in Italia, Spagna e Portogallo. «L’approccio “Open Science”, richiesto dalla call, ci ha portato a seguire un iter burocratico abbastanza complesso per permetterci di costruire i tool e le app in collaborazione con i clinici e le associazioni dei pazienti, ma anche con altri operatori, come i fisioterapisti, per capire di che cosa avessero bisogno – continua la Di Camillo. E aggiunge – Abbiamo specificato che il dato non sarebbe stato venduto, né che ci sarebbe stato un successivo utilizzo commerciale. Il dato sarebbe stato messo a disposizione per creare dei modelli di Intelligenza Artificiale per predire il rischio di progressione nei pazienti con SLA e SM».    L’Università di Padova, responsabile tecnico di Brainteaser, sta guidando lo sviluppo di questi modelli di Intelligenza Artificiale, in collaborazione con altri partner. «Per quanto riguarda l’AI, una parte viene sviluppata da noi a Padova, una dal gruppo di Torino, una da quello di Lisbona e una parte dal gruppo di Pavia – specifica la Di Camillo. E continua – Con l’AI abbiamo elaborato tutti i dati raccolti durante il progetto e i dati retrospettivi che avevano i clinici, per impostare i modelli predittivi che indicassero la progressione della malattia e la stratificazione dei pazienti in gruppi diversi in base alla velocità di progressione».  Grazie a uno smartwatch e a uno smartphone consegnati a ogni paziente del progetto, viene messa a disposizione un’app che offre anche contenuti educativi e servizi personalizzati, come strumenti per promuovere l’autogestione della malattia. I pazienti possono condividere informazioni utilizzando l’app che, allo stesso tempo, monitora costantemente la loro attività/mobilità e i parametri vitali. Attraverso l’uso dell’AI, quindi, non solo vengono generate delle predizioni ma anche una visualizzazione chiara e comprensibile dei dati. Queste informazioni vengono trasmesse al clinico che, vedendo le predizioni del modello e i dati del paziente, può decidere se anticipare (mai posticipare) la visita periodica del paziente. Oltre ai dati clinici, vengono acquisiti i dati delle app progettate e sviluppate per i pazienti con sclerosi laterale amiotrofica e sclerosi multipla. Vengono inoltre raccolti anche i dati di un sensore della qualità dell’aria indossato dai pazienti: la qualità dell’aria è un dato che incide sulla malattia ma non risulta essere una variabile dei modelli predittivi. «Quello che ci interessa nello sviluppo dell’AI – sottolinea la Prof.ssa Di Camillo – è la capacità degli algoritmi di generalizzare su nuovi dati. Se consideriamo come predire la progressione della malattia, sappiamo che ci sono tantissime variabili che non è possibile o facile raccogliere. Per esempio, non consideriamo il contesto familiare, anche se un paziente solo o che è stato lasciato dal coniuge dopo la diagnosi funesta, molto probabilmente vede peggiorato il decorso della sua malattia. Un modello di predizione, comunque, deve funzionare su tutti i pazienti, in modo da dare al clinico un’indicazione accurata sulla possibile progressione della malattia». Brainteaser si chiuderà il prossimo giugno e quindi, in questo periodo, i partner stanno parlando dell’exploitation plan e dell’incontro che si terrà a Bruxelles su questo argomento.  «Utilizzare l’AI in clinica non è semplice: in un contesto di ricerca è possibile, ma in un contesto reale è necessario certificare tutti i software come dispositivi medici: strumenti clinici, sistemi di monitoraggio e app per i pazienti sono relativamente facili da certificare. Tuttavia, per l’AI usata in un contesto predittivo, la questione diventa molto più complessa, soprattutto alla luce del recente “AI act”, pubblicato lo scorso maggio, che aggiunge, giustamente, ulteriori vincoli e requisiti ». – conclude la prof.ssa Di Camillo. Con Brainteaser, ricercatori, clinici e pazienti hanno svolto un lavoro enorme per portare l’intelligenza artificiale nella pratica clinica, con…

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